Macchine e tecnologie
Da alcuni documenti reperiti presso l’Archivio Comunale di Alatri, si trova notizia di una richiesta fatta al Sindaco della cittadina da parte del Presidente della Camera di Commercio di Frosinone, il quale a sua volta, avendo ricevuto disposizioni da parte del Comitato dell’Inchiesta Industriale sulla fabbricazione delle macchine per la lavorazione della lana, designata dal Ministero delle Finanze, pone ai Sindaci della circoscrizione due quesiti, atti a stabilire il numero di macchine utilizzate per anno nelle industrie laniere ed il numero di queste provenienti dall’estero.
Scopo di tale inchiesta era quello di stabilire, in base alla quantità di macchine utilizzate, se fosse giustificato l’impianto di una fabbrica che producesse macchine per la lavorazione della lana, e che naturalmente il numero di commesse d’ordine potesse assicurare e garantire a quest’ultima una produttività continuativa [dati11; dati12].
I dati forniti in riscontro dal Sindaco di Alatri Salvatore Colazingari in una missiva del 13 gennaio 1874, evidenziano l’esistenza nel Comune di 11 fabbriche tessilo-laniere che complessivamente utilizzavano 64 “macchine”, delle quali 24 “filiere”, 10 ”tentase”, 11 “platelle”, 10 “lupette” e 9 “carzerie”, tutte acquistate nella vicina provincia di Napoli e quasi sicuramente di manifattura nazionale.
Nella stessa nota viene anche sottolineato che se le “fabbriche di lana” prima del 1870, godevano di un discreto volume di affari, in quel periodo (4 anni dopo) l’attività produttiva era notevolmente diminuita, soprattutto a causa della concorrenza delle fabbriche delle vicine province napoletane, che avendo installato macchine a vapore, riuscivano a contenere i costi di produzione, con il conseguente sensibile abbattimento dei prezzi di vendita del prodotto finito.
Negli stessi documenti si trova notizia di alcune fabbriche per la lavorazione della lana, dotate di macchinari simili a quelle alatrine, anche in altri Comuni del circondario di Frosinone [dati13].
Un interessante spaccato della situazione, a livello del controllo della qualità dei prodotti dell’arte lanaria alatrese, ci venne fornito da alcuni documenti relativi ad ispezioni e contenziosi dei primi decenni dell’ottocento. L’articolo primo del “motu proprio 1° aprile 1817” stabilisce che “Il Nobil collegio dei fabbricatori e dei drappi di lana sarà d’ora innanzi rappresentato dall’Ispettore Generale, sei Deputati, e da un Depositario […]. Saranno dessi responsabili della precisa esecuzione delle Leggi pubblicate con il ricordato motu proprio, e di quelle che nuovamente si aggiungono, non meno che dell’amministrazione dell’ entrate”.In applicazione di questo articolo l’ufficio del bollo e revisione di Alatri istituì una commissione di vigilanza, che attraverso ispezioni e verifiche, tutelasse il processo produttivo dei tessuti di lana. Per ogni ispezione veniva redatto dal vigilatore un verbale nel quale erano descritte le eventuali irregolarità riscontrate. Il 23 novembre 1822 Francesco Bottini, vigilatore dell’ufficio del bollo e revisione dei drappi di lana di Alatri, effettua un controllo presso la fabbrica di Vittorio Tagliaferri e chiedendo allo stesso “se aveva la patente da Tintore voluta dall’articolo 7 del primo motu proprio, ha risposto di non averla”; continuando nell’ispezione Bottini trova poi “un Taglio di Pannetto bianco senza alcun marco, il quale, a forma dell’articolo 6 dell’Editto del 30 dicembre 1818 è caduto in frode” [ispezioni1]. Il verbale viene redatto alla presenza di Domenico Cialone detto “Bianconi” e Sisto Antonio Sabellico.
Altra ispezione, il 27 novembre 1822, viene fatta al tiratore Carlo Sabellico e nel corso di questa, Bottini trova “una mezza paccotta di color rubino di nuova garzata, ritinta, a cui vi è apposto il Bollo Inferiore colla marca G.C., (detta mezza paccotta); è incorso nella penale a norma dell’articolo 14 del secondo motu proprio, nonché all’articolo 10 della Notificazione dei 23 marzo 1821” [ispezioni2]; il vigilatore compila il verbale alla presenza dei testimoni Michelangelo Quattrino e Arcangelo San Severino. Il giorno seguente, Bottini effettua un controllo nell’abitazione di Barnaba Chingari “circa un’ ora e mezza di notte,… ed ho trovato che il medesimo teneva sopra il foco il caldaro bollente con droghe ad oggetto di tingere; osservato ciò, ho fatto delle ricerche entro la detta abitazione, ed ho rinvenuto una matassa di trama ritorta Moretta, un paio di calzette bianche di lana ed un paio di calzoni vecchi ritinti, quali sono stati restituiti; il suddetto Chingari, perché non monito di patente voluta all’articolo 28 del primo moto proprio, è incorso nella penale; alla presenza de’ testimoni Sisto Toti e Alessandro De Santis, ho formato il presente processo verbale” [ispezioni3].
Il 6 dicembre 1822 Bottini dichiara in un verbale di ispezione: “Io sottoscritto Vigilatore nell’Ufficio di Bollo e Revisione a richiesta del Signor Giovanni Martufi Fabbricatore Patentato mi sono portato fuori di Porta S. Pietro per rinvenire due suoi lavoranti “Cardalana”, cioè Crescenzo Fiorletti e Pietro Quattrino, i quali si hanno fatto lecito di andare a lavare dei panni al Fabbricatore Signore Giovanni Di Fabio; e difatti, portatomi fino alla Madonna delle Grazie, ho incontrato i medesimi che portavano dei panni sopra il cavallo, e gli ho richiesto alla presenza de’ Testimoni Silverio Tagliaferri e Domenico Antonio Misilli se avevano il benservito o licenza del loro padrone, hanno risposto non averla; stante ciò il suddetto Di Fabio è incorso nella penale a forma dell’articolo 29 del secondo Moto Proprio” [ispezioni4; ispezioni8].
Il tintore alatrino Giacomo Mascetti, venuto a conoscenza delle ispezioni fatte dal vigilatore Bottini a Tagliaferri e a Chingari, sporge denuncia contro Tagliaferri [ispezioni8] e si rivolge al Cardinale camerlengo dicendo che non passerà molto tempo prima che questi signori chiedano la patente di tintori e afferma, riferendosi a Tagliaferri: ”Ma dove mai si è veduto aver questo signore fatto il Tintore? Dove si è udito avere egli apportato questa perfezione? Certamente si chiamerà un guasta mestieri, io ne risento dispiacere, perché vedo, non dico per vanto, troppa ardita la mia abilità” [ispezioni5]; e riferendosi a Chingari: “Le si presenterà a tale oggetto anche un certo Barnaba Chingari. Questo ancora si vanta tintore […]. Sarà giusto concedere loro la patente, se uguaglieranno l’abilità di un perfetto tintore” [ispezioni5]; e si dichiara poi preoccupato perché concedendo le patenti di tintore a persone di dubbia perizia e competenza, verrebbe messa in pericolo l’arte della categoria dei tintori.
A tutela e garanzia della qualità dei tessuti esportati dalle fabbriche dei drappi di lana dello Stato Pontificio, vennero istituite apposite norme e decretate specifiche leggi per l’apposizione sui manufatti di particolari marchi chiamati “bolli dell’arte”, allo scopo di impedire che si vendessero per buone le stoffe difettose, recando danno al nome dell’industria che era generalmente considerata di ottima qualità.
Notizie tratte da:
GENI COSTANZO, Aspetti della Politica industriale pontificia tra XVIII e XIX secolo: il caso di Alatri (tesi di laurea in Storia economica, Università degli studi di Cassino, facoltà di Economia e Commercio, Anno Accademico 1995-96)