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Alatri nei tempi del paganesimo si divideva in nove carcìe o rioni, denominati Scurano, Cerere, Bacco, Flora, Venere, Spultina. La denominazione degli altri tre è andata smarrita; con il Cristianesimo i nove rioni furono convertiti in altrettante parrocchie, e ai tre mancanti si sostituirono quelle di S. Lucia, di S. Simeone, di S. Andrea.
Ciascun rione era presieduto da un Contestabile.
Con la divisione della città in due rioni, Civitavetere e delle Piagge, venivano eletti due Contestabili, uno per ciascuno di essi.
I Contestabili nelle feste, e in particolare in quella del Santo Protettore andavano in chiesa a far le loro comparse o parate con gran sfoggio di abiti e di gioie.
In seguito i Contestabili continuarono ad essere eletti solo per quel che riguardava la festa del Santo Patrono.

Quando nel 1584 Mons. Danti rinvenne il corpo di S. Sisto ne furono aggiunti altri due per i rioni più estesi, e raggiungevano il numero di tredici, dei quali quattro si sceglievano nelle Piagge e sette da Civitavetere.

La festa veniva celebrata nel seguente modo:

il martedì i quattro Contestabili (festaroli) delle Piagge, circondati da una turba di ragazzi, che con palme di olivi in mano gridavano: ”viva le Piagge”, da parenti, amici e curiosi andavano nella Chiesa della Donna, e celebrata la S.Messa, si spostavano verso Porta S. Pietro. Qui erano stati già portati cestoni e sacchi di rottami di terracotta, a tale scopo messi da parte nel corso dell’anno dai vasai che nelle Piagge hanno le loro officine. Arrivati lì i fanciulli gli adulti e le donne, vibravano incessantemente rottami e sassi contro un idolo in rilievo su una pietra delle mura ciclopiche che cingono la città, chiamato dal popolo Marzo (Marte), ma dagli eruditi si ritiene essere Priapo. Durante quell’insana lapidazione, era vietato alle persone di Civitavetere uscire dalla porta, poiché ne sarebbero rimasti malconci.
Con ciò volevano ricordare che quelli delle Piagge erano stati i primi ad abbracciare il Cristianesimo, e dileggiavano così quelli di Civitavetere per essere stati troppo attaccati ai loro idoli, ed aver abbracciato la vera religione assai più tardi.
Il resto del mattino era destinato alle bevute interrotte la sera innanzi. Dopo desinato, i Contestabili, gli invitati e le loro donne andavano in piazza per la processione delle Rote. Formati tanti cerchi ciascuno con la propria musica cominciava a ballare, quindi avviatisi per le strade della città, ballavano in cerchio. Stanchi si ritiravano in casa un po’ prima di sera poiché i Contestabili delle Piagge dovevano recarsi a casa del loro Sopracontestabile ed insieme andare ad ossequiare il Sopracontestabile di Civitavetere, e da qui muovere verso la Cattedrale.

Nell’entrare in chiesa i Contestabili sul popolo che li accompagnava, gettavano una specie di paste che chiamavano morselletti (biscotti con miele e nocciole), che venivano avidamente raccolti. Dopo i Vespri, il Vescovo dava il segnale d’inizio del ballo che si svolgeva nel portico davanti la chiesa. Sebbene all’inizio fosse “un tripudio di santa letizia”, cominciò dopo ad assumere forme indecenti, perciò le danze si spostarono nel piazzale a destra della cattedrale, dove i festaroli, chiesta prima la benedizione al vescovo, si distribuivano in tredici cerchi e danzavano con le donne che li avevano seguiti in chiesa. Dopo il ballo si andava a cena e poi di nuovo in cattedrale per la processione degli ignudi che usciva verso le due di notte. Era detta degli ignudi perché il popolo vi prendeva parte a piedi scalzi. Si portava in processione il Crocifisso accompagnato dal Podestà, dagli ufficiali e dai festaroli.
Alla fine, seguiva il popolo in mezzo al quale, uno intonava ad alta voce il rosario e la moltitudine rispondeva, interrompendo di tratto in tratto per cantare più forte il ritornello: “viva viva Gesù Cristo, la Madonna e Santo Sisto, San Gregorio appresso a isso; Santo Sisto Protettore sta pregando Nostro Signore per noi altri peccatori”.

Intanto la città era tutta illuminata e lungo le strade si accendevano grandi cataste di legna dette favoni, attraverso i quali saltavano i fanciulli. Ciò in ricordo del sacrificio dei fanciulli, che i nostri antenati ai tempi del paganesimo offrivano al Dio Saturno. Il mercoledì, giorno solenne di festa, non venivano organizzati balli profani, ma la festa patronale si celebrava con religiosa serietà: tutti si recavano in chiesa per la celebrazione della Santa Messa al termine della quale usciva la processione che si faceva “con pompa grandissima”. Il Santo veniva condotto a spalla , in ricco trono, da 24 uomini a piedi scalzi, per le vie principali della città in mezzo alle grida e alle acclamazioni di una folla immensa di cittadini e forestieri. Il magistrato avanzava preceduto dal vessillo comunale, seguito da altri nove piccoli vessilli che portavano impressi gli stemmi dei rispettivi rioni tra cui quello delle Piagge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notizie tratte da: D. Andrea Marini, Cenni storici popolari sopra S. Sisto I Papa e Martire ed il suo culto in Alatri, Foligno 1884

La parola Pasqua deriva dal vocabolo ebraico pesah, che vuol dire passaggio.
Anticamente, celebrava il passaggio dalla stagione invernale alla primavera, nella prima notte di plenilunio del 14 di nisan (mese ebraico corrispondente al nostro marzo-aprile).
E’ in quella notte che Mosè, attraversa il Mar Rosso e fugge dalla schiavitù egizia.
In un altra notte, quella appunto della parasceve, Gesù risorge dalla morte.
Tuttavia, quando celebriamo la Pasqua, si rischia un pò di ripercorrere un evento che sembra sfuggire alla nostra esperienza quotidiana. Eppure, aldilà della resurrezione finale, (quella dopo la morte secondo la dottrina cristiana ), la Pasqua può essere una esperienza ordinaria.
Non solo un evento straordinario di natura divina, ma lo straordinario evento che ognuno di noi, può realizzare nelle cose di ogni giorno.
Fare Pasqua significa fare un passaggio: passare da scelte timide a decisioni definitive; passare dalla falsità di tante nostre relazioni, alla costruzione di legami più sinceri; Risorgere da un fallimento, per reinvestire sulla speranza di un successo; Risorgere dalle sconfitte, dagli errori, dagli sbagli che ognuno di noi porta dentro, per sperimentare il gaudio della fedeltà, il profumo della libertà, la freschezza di un cuore nuovo.
Perché la resurrezione è qualcosa promesso a tutti, poiché ogni giorno ci è chiesto di far morire qualcosa che ci attanaglia e crea fatica per scoprire invece la libertà di una vita vera.

di Gabriele Ritarossi

Quante volte abbiamo sentito : “Attent’, ca’  fai accòm gli asini d’ Belpaino!  magari per ammonire qualcuno dal non fare il passo più lungo della gamba?  Pubblichiamo un racconto di Amilcare Culicelli, sulle “gesta” di Bel Paino:

“Il nostro era un tipo piuttosto strambo, di mestire barbiere e in quanto tale  frequentava gente di ogni tipo,  persino “altolocata” ma questo avveniva soltanto in casa loro, e naturalmente,  ci teneva a far  bella figura!
Per distinguersi dallo “zoticume” usava un “eloquio” ricercato, metteva un “papillon” floscio, usava le chiroteche(1)  e se pioveva, copriva le scarpe con le ghette e apriva il paracqua. Quando andava a casa dei suoi clienti non “obliava” mai la “plaisanterie”(2)  per Madame!  Mentre lui faceva il suo lavoro,  si intratteneva appositamente per conoscere le ultime “novità”… e scoprire, magari,  che anche ella ne facesse parte.
Per il suo modo ricercato di vestire era stato soprannominato “Bel Paino” e le sue stranezze linguistiche erano lo spasso della gente che se le rilanciava pomposamente. Tra queste,  era rimasta celebre la sua frase rivolta a un contadino: “Appropinquati o villico e riaffibbiami, di grazia, queste mie staffe pendule che per il lungo andar si fecer prolisse.”
E si! Perché bisogna sapere che un bel giorno Bel Paino andò alla fiera, comprò un asinello e lo accessoriò di tutto punto: la sella, il sottopanza, le staffe e perfino la sonagliera e se ne andava trotterellando per il Trivio gustandosi la musica della sonagliera ritmata dal batter degli zoccoli sul basolato, sotto gli sguardi meravigliati della gente.
Ma l’asino, però mangiava!  finì l’estate ed arrivò l’inverno e solo a costo di sacrifici riusciva a comprare il fieno, ma le giornate troppo corte, non gli lasciavano il tempo di portare l’asino a brucare l’erba lungo i margini delle strade “fuor di porta”.
Cosi’, tanto per sfamarlo, quando poteva ed era sicuro che nessuno lo vedesse,  raccoglieva gli scarsi rimasugli delle verdure del mercato….ma purtroppo l’inverno era molto lungo…
Ed ecco l’idea di Bel Paino: sarebbe bastato insegnare all’asino a campare senza mangiare almeno per il resto dell’inverno! e…. ci si mise con impegno;
L’asino capì e collaborava;  cominciò a mangiucchiare di malavoglia le foglie gialle appassite e i torsoli di cavolo. Una mattina, finalmente per la gioia di Bel Paino, nemmeno annusò le tre o quattro foglie secche dei platani che la sera prima  gli aveva raccolto a Porta San Pietro: era fatta! esclamò.
Veramente, dopo qualche giorno gli sembrava che l’asino si comportava in modo strano e fosse un po’ patito “povera bestia” pensava “è rimasto chiuso per troppo tempo e forse si annoia. Alla prima bella giornata lo porto fuori.”  E venne una bella giornata di fine gennaio!
Tutto contento Bel Paino andò per sellare il suo asinello e lo trovò morto.
Non si dava pace e raccontava di quel suo asinello che aveva finalmente imparato a non mangiare ed era morto… chissa perchè!”

Amilcare Culicelli – fonte:  Forum Monti Ernici  – http://www.montiernici.it/index.php

1: Le chiroteche sono un paramento liturgico usato dai prelati durante una forma particolarmente solenne di celebrazione eucaristica del rito romano.
2: storielle, scherzi, allegorie

 

In questo secondo appuntamento  per suscitare curiosità, e forse,  interesse,  tratto dal libro “Alatri ed il suo vernacolo” di Padre Igino da Alatri, edizione pubblicata il 06/09/1986 per i tipi delle Arti Grafiche Tofani dalla Soc. Cooperativa Cultura e Territorio – Archeoclub, ecco alcuni termini del nostro dialetto che derivano dal latino:

 

Abballe = ad vallem = giù
Addòrmo (‘m) = addormio = addormentarsi –
Addutto, araddutto = adductus = diventato (es Accome te si raddutto!)
Aécco = heic = qui
Aésci= istic = costi
Affucià = ad fauces (manicarum) = risvoltar le maniche
Alà = alare = emetter fiato
All’addónca = ad unguem = alla fine
Allòco = ad locum = là
Ammónte = ad montem = su
Aósia = audio = ascolto
Appédi = ad pedem = a piedi
Appettecà = ad pectum = arrampicarsi
Appilà = appilo = otturare
Appò = appono = vincere
Appòggi = ad podium = appoggio
Appugli = ad pullos = al nido
Appuntà = ad punctum = fermarsi, far punto
Ara = area = aia
Arbiri = arborem = albero
Arciòla = ureculum = brocca
A sinno = ad sígnum = ubbidiente
Assógno = axungia = sugno
A tamménte = dat mentem = contempla
Awé = ah, vae! = olà!
Cérwo = acerbus = immaturo
Cèse = caesae = bosco tagliato
Cétto = cito = presto (es. addumane cétto)
Chélla = quae illa = quella
Chénch’è = quamquam est = qualunque cosa sia
Chéssa = quae ista = questa
Chigli = qui ipsi = quelli
Chiówo = clavus =chiodo
Chisso = qui ipsa = codesto
Chisto = qui iste = questi
Cici = cicer = cece i
Crà = cras = domani
Créddo = credo = momento
Cróglia = corolla = corona di stoffa da porsi in capo per tenere dei pesi
Cuna = cunae = culla
Cutricchia = cutricula = conchiglia
Déneglibbera = Deus ne liberet = Dio ce ne liberi
Fèce = fecem = feccia
Finimunno = finis mundi = finimondo
Gliubro = delubrum = pantano
Gliótta = gutta = goccia
Innaro = januarius = gennaio
Inòtte = hac notte = questa notte
Itèrza = die tertia = laltro giorno
Ito = itus = andato
Iugo = iugum = gioco
Lancèrta = lacerta = lucertola
Lappucci = laputium = orlo
Marmora = mannor = marmo
Nèca = nequam = loglio (es. èruaneca)
Pède = pedem = piede
Pète = petere = elemosinare
Piscrà = postcras = posdomani
Puigli = pugillum = manata
Ranónchia = ranuncula = ranocchia
Razzelà = rapere = raccogliere in fretta
Recétto = receptus = rifugio
Répo = repo = pruno rampicante
Róscia = roseo = rosso
Runci = runcus = roncola
Scélla = ascella = ala
Scèrno = discerno = veder bene
Siwo = sevum = sego
Spaso = ex pansum = spiegato
Suleco = sulcus = solco
Tuto = tutus = preso, assicurato
Uanno = hoc anno = quest’anno
Winchi = vinculum = legaccio
Zico = exiguum = poco

 

 

 

Il libro “Alatri e il suo vernacolo” di Padre Igino da Alatri, edizione pubblicata il 06/09/1986 per i tipi delle Arti Grafiche Tofani dalla Soc. Cooperativa Cultura e Territorio – Archeoclub, offre molti spunti che definiscono meglio sia il nostro dialetto che parte della storia popolare della nostra città. E’ stato bello riscoprirlo e per questo, tanto per suscitare curiosità (soprattutto a chi non ne conoscesse l’esistenza) riportiamo alcune curiosità: la prima sugli studi della dialettologia alatrina (questa) e  la prossima, dove elencheremo alcune parole di dialettali di uso comune (e altre, ahinoi, desuete) derivate dal latino.

L’opera del p. Igino da Alatri e gli studi di dialettologia alatrina

Alatri, l’antica Alatrium (o Aletrium), importante centro dei “sassosi”  Ernici (Hernici dicti a saxis quae Marsi herna dicunt), così Paolo Diacono nell’epitome di Festo (1) , gode di un primato forse ben poco conosciuto anche presso gli ”addetti ai lavori” (anche quei pochi proprio di dialettologia laziale): il suo dialetto infatti è stato, fra tutti quelli delle località del Lazio di allora (2), il primo ad avere una descrizione scientifica delle sue forme e dei suoi fenomeni. Nel 1887,  Luigi Ceci, agli inizi della sua felice carriera di glottologo, pubblicava nel vol. X dell’ “Archivio glottologico italiano” (la prestigiosissima rivista di linguistica e dialettologia romanze, fondata dal ‘padre’ di queste discipline, il grande Graziadio Isaia Ascoli) il primo – e purtroppo, come vedremo, unico – dei suoi Saggi intorno ai dialetti della Cioceria (sic) (3), per l’appunto il Vocalismo del dialetto di Alatri (pp. 167-176).
Ma il nostro dialetto già a quest’ epoca non era del tutto sconosciuto agli studiosi: una dozzina di anni prima, approssimandosi il quinto centenario della morte del Boccaccio (che sarebbe caduto nel 1875), un erudito toscano, Giovanni Papanti, aveva avuto l’idea di raccogliere le traduzioni (da lui stesso sollecitate) nei vari dialetti italiani della novella nona della prima giornata del Decameron, quella della ”Dama di Guascogna e del re di Cipro” (4). Ne era risultato un grosso volume (di quasi 750 pp.), I parlari italiani in Certaldo alla festa del V Centenario di Messer Giovanni Boccacci (sic) (”In Livorno, coi tipi di Francesco Vigo”, 1875 – si cita dalla preziosa ristampa anastatica di Forni, Bologna, 1972), con oltre 600 versioni nei vari dialetti: fra queste, seconda in ordine alfabetico per la sezione della “Provincia di Roma” (5), la versione in dialetto di Alatri appunto, lunga ben due pagine fitte, e corredata di parecchie note, purtroppo a firma X – ma i corrispondenti del Papanti erano sempre degli eruditi locali, spesso ecclesiastici (e comunque, se non appassionati, per lo più interessati al dialetto natio).

 

1) 100 (e cfr. Serv. ad Verg. Aen VII 684)
2) Si ricorderà che sino al 1927 la Ciociaria (già Campagna) aveva il confine orientale ad ovest di Sora: Nello stesso anno 1927, essendo stata soppressa la provincia di Caserta (ricostituita in Campania nel luglio 1945, ma entro i confini più stretti) il Lazio aveva acquistato una ulteriore estensione anche verso sud, fino al Garigliano […] Una cinquantina di comuni entrarono a far parte delle provincia di frosinone, come Aquino,Arpino, Atina, cassino, isola del Liri, Pontecorco, Sora, ecc.
3)Si tratta evidentemente di una italianizzazione (toscanizzazione) del toponimo indigeno Ciociaria
4) Il Papanti aveva tratto l’idea da una raccolta analoga fatta a suo tempo (seconda metà del ‘500) da Lionardo Salviati
5) “soltanto nel 1927 l’unica vastissima provincia laziale fu divisa in quattro, cioè Roma, Viterbo, Frosinone e Rieti (R.Almagià, Lazio, cit.,p.9)

Dall’ album dei ricordi: cosi scriveva Alberto Minnucci*,  uno dei tanti “giovani” del Gruppo Folclorico Aria di Casa Nostra, nei quasi  settanta anni di attività:


<<Nel 1955, a primavera, andammo a Milano. Per molti di noi fu il primo viaggio di una certa importanza e lunghezza, scusateci.  La guerra, pur terminata da dieci anni si faceva ancora sentire; il boom era di là da venire; il più… ricco o fortunato dei «ciociari 55» era stato, per diporto su un motoscooter di seconda mano. Si trattò della prima grossa ed impegnativa trasferta del Gruppo Folclorico Alatrense. Nella capitale economica italiana era in corso una delle prime edizioni della nuova fiera campionaria. Ci esibimmo in uno stadio, non a San Siro, ma all’Arena. A presentarci al folto pubblico delle scalee fu un giovanotto molto elegante e dalla voce calda. Quasi nessuno lo conosceva. Ci dissero che era un dottore in legge e che si chiamava Enzo Tortora.  Anche il Gruppo, come il futuro presentatore TV era alle prime armi. Avevamo addosso una paura da far tremare il pur robusto palco. Cantammo ballammo. Ci fu prima silenzio e poi un uragano d’applausi «Forza mò…» ci sussurrammo, rinfrancati, ed esplodemmo nel salterello che i meneghini mostrarono di gradire molto di più dei compassati anche se perfetti balletti dei gruppi orientali. Il sole milanese, si sa, ad aprile è quello che è; ma noi riuscimmo a… scaldarlo. Il giorno successivo, tutti i giornali milanesi scrissero d’Alatri. Ricordo l’autorevole «Corriere della sera»: « …i ciociari d’Alatri si scompongono, pare che ognuno vada per conto suo, poi, improvvisamente, eccoli uniti, in una sfavillante policromia.
Il loro salterello ha fatto esplodere la Santabarbara dell’arena ».
Quando andammo in Fiera, il successo non fu minore. I nostri colori, gli ori e i coralli delle nostre ragazze fecero faville. Come attori fummo “richiesti” per centinaia di fotografie tra cinesi e neri. Dovevamo sorridere a tutti perché la Ciociaria ride di sole. Ma Dio solo sa con quale sforzo lo facemmo perché le ciocie del « 55 » erano…vere ciocie  (prese in prestito dai contadini) e quasi tutte erano strette o larghe ed i piedi, non abituati, ne soffrono ancora dopo vent’anni. La sfilata in Piazza Duomo, sotto la Madonnina: un ricordo davvero incancellabile! Quando il corteo entrò in Galleria fummo presi dallo spavento. Lo sapevamo cos’era la Galleria di Milano nei cui «caffè», a quell’ora, sedevano solitamente i più famosi scrittori, editori, attori, giornalisti, industriali e registi italiani. Era un pubblico d’eccezione, insomma, quello verso il quale andavamo incontro. «Forza mò…» ci sussurravamo e ricominciammo col salterello mentre lo storico campanaccio svegliava anche i più addormentati colombi delle più alte guglie del Duomo. E tutti ci applaudirono con passione e convinzione. Ma uno degli spettatori, un cameriere che serviva quegli uomini famosi, ci fece piangere. Approfittò di un momento di calma e di relativo silenzio e, brandendo il cabaret, «Evviva S. Sisto» urlò e scomparve tra gli eleganti abiti della Milano-bene. Dopo sapemmo che era un ragazzo della “Fiura” al quale avevamo portato un angolo di casa sua.>>
di Alberto Minnucci 10/07/34 – 25/05/95

*Per oltre 30 anni fu puntuale interprete dei bisogni della comunità locale nelle pagine de il Messaggero con collaborazioni con Avvenire. Memorabili le sue battaglie contro il potere: i lettori sapevano di poter trovare nelle sue cronache non solo fatti ma anche vere e proprie frustate di ribellione civile e contro il potere burocratico.
Per ricordarlo, nel 1996 fù stato istituito il Premio giornalistico Alberto Minnucci. Tra i giornalisti che hanno ricevuto il premio vi sono Bruno Vespa, Carmen Lasorella, Lilli Gruber, Enzo Biagi, Giorgio Tosatti.

 

Concludiamo la nostra “carrellata” dei personaggi che hanno dato lustro alla città di Alatri, così come l’abbiamo aperta: ricordando un sodale amico di Gerardo Celebrini… parliamo infatti di:

Giovanni Ricciotti

Nato ad Alatri il 06/12/1867. Storico e letterato con predilezione per gli scritti di San Francesco al quale ha dedicato varie conferenze;  Studioso del  dialetto Alatrese scrisse un testo con grammatica e vocaboli. Fratello del notaio Ricciotti, ha ricoperto vari incarichi nel corso della sua carriera professionale:
– 20 dicembre 1909, con decreto del R. Prefetto di Roma è nominato Commissario per la Congregazione di Carità di Guarcino
– da dicembre 1909 a dicembre 1912, segretario del Comune di Torre Cajetani
– Nel 1912 viene nominato segretario interino del Comune di Alatri e passa definitivo in seguito a concorso il 20 aprile 1920;
– Il 28 aprile 1915 viene chiamato a Segretario di Acuto in seguito a concorso e ad Agosto 1922 viene nominato segretario capo interino del Comune di Alatri; il 18 Agosto 1923 viene nominato segretario capo per promozione del Comune di Alatri.
E’ stato inoltre dal 1908 al 1915 segretario del Consorzio Agrario di Alatri e dal 1901 al 1924 Capo del collegio dei Sindaci della Cassa Rurale Madonna delle Grazie di Alatri.

Ha ricevuto vari riconoscimenti :
il 28 gennaio 1910 Encomio del R.Commissario di Guarcino, il 24 settembre 1912 Encomio del R. Commissario di Torre Cajetani Rag. Tocco Francesco, primo ragioniere presso la Prefettura di Roma.
26 giugno 1915 Encomio del Commizzario Prefettizio Cav. Garibaldo Ferrari, primo ragioniere presso la R.Prefettura di Roma.
21 ottobre 1923 Encomio del Commissario Prefettizio Cav. Uff. Enrico Tusa, primo ragioniere presso la R.Prefettura di Roma
Nel 1937 ha lavorato presso il Comune di Belmonte Castello e nel 1938 presso il Municipio di Atina, dopo il quale si è ritirato per quiescenza.

Dall’entrata in guerra, da maggio 1915 a tutto il 1919,  il segretario Ricciotti tenne l’amministrazione dei fondi pei sussidi alle famiglie dei militari richiamati o trattenuti alle armi. Curò il rientro di parecchi disertori e in varie continuate conferenze pubbliche e private in Alatri e fuori predicò specialmente dopo il disastro di Caporetto, la resistenza interna. Disimpegnò il servizio dell’ufficio notizie tenendo sempre altro lo spirito nazionale. Predicò sempre i principi di fratellanza e di pace sotto l’egida delle istituzioni che ci reggono. Fu sempre a capo di ogni movimento, diretto a mantenere saldo e fermo il principio della italianità e della fedeltà al Re e alla Patria

Dal libro “Alatri ed il suo vernacolo” di Padre Igino da Alatri, edizione pubblicata il 06/09/1986 per i tipi delle Arti Grafiche Tofani dalla Soc. Cooperativa Cultura e Territorio – Archeoclub, nella “Storia Pupulara”, racconti su Alatri davanti il camino”, a  pag. 157  viene cosi descritto:

Con l’amico Gerardo Celebrini  ha composto alcune canzoni ancora molto conosciute ed eseguite negli ambiti delle tradizioni popolari ciociare; infatti nel 1900 in occasione della fiera della Maddalena (che ricorre il 22 luglio), scrissero  le parole (Celebrini) e la musica (Ricciotti) delle canzoni alatrensiL’Arca“, “Gli culacchiegli“, “Juccia“, “La cipolla“, “La tesserella“, “La ciammotta“.

In occasione della morte del caro amico Celebrini  avvenuta nel febbraio del 1930, fu chiamato,  in nome ed in rappresentanza del generale Turano,  Commissario Prefettizio, a porgere  il saluto della cittadinanza  e dell’Amministrazione Comunale .

E’ morto  il 23 Dicembre 1943

(Si ringrazia Filippo Petricca)

Egnazio Danti
Nato a Perugia nell’ aprile 1536, Egnazio Danti, è stato insigne vescovo della città di Alatri. Noto cultore di scienze, ma anche di filosofia e teologia, è famoso per aver disegnato le carte geografiche degli armadi in Palazzo Vecchio a Firenze per incarico dei Medici e per aver progettato il quadrante astronomico e l’armilla equinoziale, posti sulla facciata di Santa Maria Novella. Scrittore prolifico e docente negli studia di Firenze e Bologna, viene utilizzato dal papato per compiere rilievi topografici in Umbria e per disegnare le famosissime carte geografiche d’Italia della Galleria Vaticana. In Alatri riorganizza la diocesi secondo le disposizioni tridentine ed è l’artefice di un forte rinnovamento della chiesa locale. Muore ad Alatri il 19 ottobre 1586

Pompeo Molella
Insigne figura di giurista, Pompeo Molella nasce ad Alatri nel 1548 da Valerio e Giovanna Tuzi. Lauratosi giovanissimo in giurisprudenza, verso il 1574 si trasferisce a Roma, dove riesce a conquistarsi la fiducia e la simpatia di alti prelati. Clemente VIII, nel 1592, prima gli affida il governo rato di Imola, quindi lo nomina Procuratore generale del Fisco. Gli alti incarichi non lo distolgono dalla professione di magistrato, attraverso la quale lega il suo nome ai principali processi del tempo. Di questo il più eclatante, anche per le conseguenze che coinvolgono lo stesso Clemente VIII, è quello relativo a Beatrice Cenci che, riconosciuta colpevole di parricidio, viene decapitata insieme ai suoi complici nel settembre 1599. Molella conserverà l’incarico di Procuratore fino al 1605, anno in cui è inviato da Paolo V a governare alcune città dello Stato della Chiesa. Muore a Roma l11 settembre 1608.

Luigi Ceci
Valente figura di glottologo e latinista, nasce in Alatri il 2 febbraio 1859 da Vincenzo, modesto tintore, e da Maria Minnocci. Dopo gli studi classici svolti presso le Scuole Pie di Alatri e di Savona, nel 1882 ottiene a Firenze, la laurea in lettere. Chiamato a Roma come suo segretario particolare dal ministro della Pubblica Istruzione, collabora alla preparazione di un progetto di riforma per la scuola superiore, progetto mai realizzato per le dimissioni del presidente del Consiglio dei Ministri, Depretis. Insegna Latino e greco nei più prestigiosi licei in Italia. Nel 1893 ottiene la cattedra di grammatica indo-greco-italica presso l’Università di Roma, ricoprendo per due volte la carica di Preside della facoltà di lettere. Nel 1914 è inserito nella commissione preposta alla riforma degli studi superiori dal Ministro Cretaro distinguendosi per la grande competenza scrivendo la Relazione generale. Si dedica agli studi della lingua slava senza tralasciare la sua copiosa attività di saggista. Tra i suoi scritti: Il pronome personale senza distinzione di genere nel sanscrito, nel greco e nel latino, Il vocalismo nel dialetto di Alatri, Tabulae Iguvinae, Grammatica della Lingia latina, muore ad Alatri il 22 giugno 1927.

Luigi Pietrobono (Dantista)
Nasce ad Alatri il 26 dicembre 1863. Nel 1880 entra nell’ordine degli Scolopi e si accosta agli studi classici, laureandosi in lettere con una tesi sulla Teoria dell’amore in Dante, edita nel 1888. Successivamente si laurea in Filosofia, con il saggio, anch’esso pubblicato, Il fondamento psichico della vita animale secondo Rosmini e Darwin. Per circa mezzo secolo, con la breve parentesi degli anni 1905-06 nei quali è chiamato a dirigere l’istituto Conti Gentili di Alatri, insegna nel prestigioso collegio Nazareno di Roma come titolare delle cattedre di letteratura italiana, latina e greca, di filosofia e di religione. Nel 1899 incontra Giovanni Pascoli e dà inizio alla lunghissima e fortunata attività di saggista che lo porta a pubblicare numerosi studi sul poeta romagnolo. Il suo grande amore resta però Dante e la Divina Commedia, la cui personale lettura lo rende noto agli studenti liceali e universitari dell’Italia intera. Lo spirito liberale emerge durante la prima guerra mondiale, quando non esita a scendere in piazza per esortare i giovani a correre in aiuto della Patria dopo la disfatta di Caporetto. Dei numerosissimi saggi: L’opera poetica di G. Pascoli, Dal cerchi al centro: la struttura morale della Commedia, Il commento alla Divina Commedia, etc.; Grande figura di dantista,  attento e profondo studioso della letteratura italiana, muore a Roma il 27 febbraio 1960.

Valerio Molella
Discendente da una delle più nobili ed antiche famiglie di Alatri, distintosi per il suo mecenatismo e per l’alto amore verso la città cui ha dedicato una vita intera. Lascia in eredità una ricchissima biblioteca di manoscritti che resta un preciso punto di riferimento per quanti vogliano sapere o scrivere di Alatri.

Padre Igino da Alatri
Padre Igino, al secolo Coccia Sisto di Giovanni Battista e di Tagliaferri Chiara, nacque in Alatri l’11 gennaio 1883.
Frequentò le classi ginnasiali nel patrio ginnasio-liceo “Conti Gentili”. Vesti l’abito religioso in Fiuggi (Maestro il P. Bonaventura da Rocca di Papa)  il 15 gennaio 1898 ed emise la professione semplice il 15 gennaio 1899.
Iniziò lo studio filosofico in Monte S. Giovanni sotto il Lettorato del P. Bernardo da Guarcino. Fu quindi iscritto alla Pontificia Università Gregoriana e consegui la laurea in filosofia. Fu ordinato sacerdote il 23 luglio 1905.
Nel novembre 1907 fu nominato Lettore di Filosofia e Direttore dello Studio di Frascati e fu nominato Lettore di S. Teologia ad honorem.
Negli anni scolastici 1915-19 insegnò lingua francese e scienze naturali nel Seminario diocesano.
Nel periodo di ottobre 1929 – maggio 1931 fu inviato a insegnare nello Studio Filosofico di Alatri. Indi tornò nuovamente a Veroli in qualità di Guardiano e di Direttore del Seminario Serafico, cariche che detenne per un sessennio. Nel Capitolo Provinciale del 1946 fu nuovamente assegnato di famiglia a Veroli in qualità di Padre Spirituale dei fratini e qui vi è rimasto ininterrottamente fino alla morte, avvenuta il 29.7.1962.

Altro lato notevole dell’attività del P. Igino è quello di scrittore. Oltre a varie monografie e articoli apparsi su la rivista «L’Italia Francescana» e su giornali, le sue opere date alle stampe sono le seguenti.
S. Francesco in Alatri (Isola Liri, 1929);
Guida della Chiesa della SS. Concezione dei Cappuccini di Roma (Tivoli, 1930);
Alatri e il suo celeste Patrono (Veroli, 1932);
Breve storia di S. Sisto (Frosinone, 1932);
Atti del II Convegno laziale del III Ordine (Veroli, 1921);
Atti del Convegno dei Dirigenti del T.0.F. (Roma, 1946).
Alatri e il suo vernacolo
Opere inedite: 1) Corso ciclico di canto ecclesiastico; 2) Stilistica latina; 3)Consigli pratici agli oratori sacri; 4) Tavole sinottiche di prosodia latina; 5)Gli araldi della luce, racconto apologetico; 6) Fiamme di sacrificio, Vita di S. Francesco da Leonessa; 7)I Cappuccini e Vittoria Colonna; 8) L’ortodossia cattolica di Vittoria Colonna.

 


Per: Luigi Ceci, Luigi Pietrobono, Sisto Magni, Valerio Molella, Pompeo Molella, notizie tratte da “Conoscere Alatri” di  Armando Frusone

De Persiis Luigi (vescovo)
nacque ad Alatri il 9 maggio 1835. Sentì ben presto la vocazione al sacerdozio e fu accolto nel patrio seminario. Dimostrò grande amore per lo studio della filosofia, della teologia e del diritto. Pubblicò monografie e volumi di alto valore critico, tra l’altro: “Pio IX in Alatri”, “Lo stemma di Alatri”, “Memorie del Pontificato di S.Sisto I , Papa e Martire”, ” I confini del territorio comunale di Alatri” ecc. Per così interessanti opere e per la sua elevata cultura teologica e giuridica, meritò la stima di Papa Leone XIII il quale, il 21 giugno 1896, lo nominò Vescovo di Assisi. Morì il 31 ottobre 1904.
Benedetto da Alatri (cappuccino)
al secolo Domenico Fiorenza, nacque ad Alatri il 6 dicembre 1847. Appartiene all’ordine dei Frati Minori Cappuccini. Tenne la cattedra di filosofia ad Alatri, fu Definitoree, per due Volte, Ministro della Provincia Cappuccina di Roma. Fu nominato teologo e fu scelto dalla Regina Margherita di Savoia come suo direttore e confessore spirituale. Resta il suo volume dal titolo “L’ Eucarestia e la Vergine del 1902-1904 conservato a Roma. Mori nel 1929.
Isola Pietro Antonio (professore)
nacque a Roccasecca il 5 maggio 1865. Si laureò in lettere e si diede all’insegnamento, tra cui anche nel nostro Liceo Ginnasio. Fecondo e pregevole scrittore e critico, pubblicò numerose opere, tra le quali citiamo:” Su le satire di V. Alfieri”, “L’incontro di Dante e Virgilio con Sordello e Stazio”, “Brani di Vita, Versi”, “Quattro saggi Virgiliani”, “Saggi Danteschi” ed altre opere, conservate nella biblioteca Conti Gentili di Alatri. Morì ad Alatri nel 1938.
Lazzari Marino (Professore)
nacque ad Alatri il 14 maggio 1883. Dopo aver compiuto gli studi classici ad Alatri, si laureò in Lettere e Filosofia all’Università di Napoli nel 1905. Distinto insegnante, iscritto nel ruolo d’onore, esercitò la sua professione in varie città  d ‘Italia e collaborò con numerose riviste politiche del tempo. Nel 1938 fu Direttore Generale delle Antichità e delle Belle Arti e volle il restauro della chiesa di S. Silvestro e della collegiata di S. Maria Maggiore, per riportarle nella veste originale.
Cerica Angelo (Generale dei Carabinieri)
nato ad Alatri il 30 settembre 1885. Dedicatosi alla carriera militare, prese parte alle due guerre mondiali del 1915 e 1940, raggiungendo il grado di Generale di Corpo di Armata nell’Arma dei Carabinieri.
Ebbe numerose medaglie di merito al valore militare e nel 1947 fu Presidente del Tribunale Supremo Militare. Fu  anche Senatore della Repubblica nel 1953, eletto nel collegio di Frosinone.
Amilcare Minnucci
Nacque ad Alatri il 1 maggio 1885 da Giuseppe e da Rosa Buglioni. Giovanissimo decise di seguire il mestiere che fu già del nonno e del padre: quello del sarto. Egli svolse il suo lavoro non solo per sé, ma soprattutto per gli altri, impegnandosi nell’attività politico-sindacale per migliorare le condizioni di lavoro della categoria degli artigiani e dei sarti, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Decisivo fu l’incontro del tredicenne Minnucci con Romolo Murri, fondatore di un movimento che sfocerà qualche anno più tardi nel Partito Popolare di Don Sturzo. Appena ventenne assunse la direzione di una delle più famose sartorie romane, la Sartoria Grassi di Via del Corso. Limitato nella sua attività sindacale dal fascismo, continuò ad operare nell’ombra fino alla creazione dell’Associazione degli Artigiani di Roma e Provincia, di cui fu presidente, e della Confederazione Italiana dell’Artigianato Romano, di cui fu co-presidente, e dell’Associazione Nazionale dei Sartori. In un incontro a Londra nel 1947, commentando l’abbraccio tra il Presidente dei Sarti francesi e il Presidente dei Sarti tedeschi, ebbe a dire “Si sta ricucendo l’amicizia franco-tedesca. Chissà che la pace nel mondo non debba dipendere anche dalle nostre ricuciture!”. Importanti personalità del mondo del lavoro nazionale ed internazionale ricordarono con attestazioni di stima Amilcare Minnucci nel giorno della sua morte, il 27 febbraio 1969 e ancora oggi il suo nome è ricordato con un premio dedicato ai giovani sarti.
Ottavio Ceci
Al secolo Francesco Ceci, nacque ad Alatri da Ercole e Giuseppina Dell’Orco il 29 settembre 1889. Dopo gli studi ginnasiali entrò nell’ordine dei Frati Minori Cappuccini e il 29 giugno 1913 fu ordinato sacerdote. Cappellano militare nella guerra del 15-18 meritò un encomio solenne dal Generale Armando Diaz. Nel 1919 conseguì la laurea in Diritto Canonico e fu professore a Viterbo e Napoli. Fondamentale nella sua vita fu la fondazione nel 1926 della rivista “ L’Italia Francescana”, che egli stesso diresse fino al 1942 e nella quale pubblicò numerosi articoli di carattere storico-critico tenuti in grossa considerazione non solo da ambienti religiosi. Come ultimo riconoscimento alla sua opera Pio XI lo elevò nel settembre 1941 all’altissimo ufficio di Predicatore del S. Palazzo Apostolico. Morì a Cortona il 25 settembre 1943.
Cesare Zavattini
Nato a Luzzara il 20 settembre 1902. Prende la licenza elementare a Bergamo. Si trasferisce poi con la famiglia a Roma e successivamente si iscrive al Liceo “Conti Gentili” di Alatri, dove rimane fino al raggiungimento della maturità liceale. Giovanissimo effettua le prime esperienze a livello giornalistico. Visto il suo valore, Zavattini è chiamato a collaborare con importanti testate giornalistiche e con vari editori, e incontra Vittorio De Sica. Da questo incontro nascerà un sodalizio  durato a lungo dal quale hanno preso vita numerosi film di valore storico quali “I bambini ci guardano”, “Le porte del cielo”, “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano”, “La ciociara”, e tanti altri. Nel 1986 riceve la cittadinanza onoraria di Alatri.
Roasenda Paolo (Padre Mariano, Cappuccino e Professore)
nato a Torino il 22 maggio 1906. Fu noto e brillante professore di lettere classiche ed insegnò ad Alatri negli anni 1933-34-35 nel regio Liceo Ginnasio “Conti Gentili”. Nel 1940 entra nell’ordine dei  Frati Minori Cappuccini e nel 1945 riceve l’ordine Sacerdotale. Padre Mariano divenne famoso per il suo “Pace e bene a tutti” che predicava in televisione con un ascolto di quasi 15 milioni di telespettatori. Le sue prediche furono molto seguite sia da credenti e non credenti, che non perdevano quasi mai l’appuntamento alla TV con il cappuccino. Padre Mariano dava conforto e speranza con una dialettica colta ma molto vicina alla gente, Morì nel 1972 e sepolto nella chiesa “Padri Cappuccini” a Roma in via Veneto. E’ ancora popolarissimo nei ricordi degli italiani e la sua fama ha spinto la chiesa ad avviare l’iter di beatificazione che lo riconosca come “Frate della TV”.
Stefano Grappelli  – violinista
Stefano Grappelli nacque a Parigi nel 1908. A soli quattro anni perse la madre. Pur essendo nato in Francia non perse mai l’occasione di sottolineare le sue origini alatrensi a cui si sentiva molto legato, tanto da tornare ad Alatri ogni qualvolta i suoi impegni lo permettevano. Violinista, jazzista di fama mondiale, ha tenuto concerti in ogni parte del mondo: Londra, New York, Bombei, Tokyo, Berlino ecc. Morì il 1 dicembre 1997.
Armando Tagliaferri  – eroe della II guerra mondiale
Nacque ad Alatri nel 1920 da Angelo Antonio. Sottotenente del 187° paracadutisti Folgore. Gli fu conferita la Medaglia d’Argento al Valore Militare alla Memoria con la seguente motivazione:
Comandante di plotone, trascinava i suoi uomini alla conquista di posizioni saldamente tenute dal nemico in terreno scoperto, battuto dal tiro delle artiglierie nemiche e delle armi automatiche, portava a compimento la sue azione ed assaltando il nemico all’arma bianca. Ferito per l’esplosione di una mina,  ordinava che prima di lui venissero soccorsi i suoi soldati. Decedeva poco dopo per le ferite riportate (durante la battaglia di El Alamein). Africa Settentrionale, Ben El Ankara, 31/08/1942.
De  Nicolò Gastone
Nel sarcofago n.6 del sacrario dove sono sepolti i martiri delle Fosse Ardeatine sono deposti i resti mortali del giovane Gastone De Nicolò. Era nato a Roma il 23 settembre del 1925 da Giuseppe e da Milena Porcarelli. Il padre fu impiegato in uno degli uffici delle Imposte di Alatri, e risiedeva con la famiglia in via Garibaldi, mentre Gastone frequentava il Liceo “Conti Gentili” di Alatri, ed era tra i giovani iscritti alla “Giosuè Borsi” l’associazione di Azione Cattolica per studenti. Il professore Sacchetti Sassetti ricorda Gastone come studente di liceo, e Giovanni Gigliozzi, nella prefazione al libro di Attilio Ascarelli “Le Fosse Ardeatine” (ed. A. N.F.I.M. 1965) scrive: “Man mano che procedevano i riconoscimenti dei poveri resti seppi che più di un mio amico aveva conosciuto la ferocia del colonnello Kappler. E rividi il piccolo Gastone con il suo teatro di burattini. Gastone, nei giorni sereni della nostra infanzia, chi avrebbe mai potuto prevedere l’atrocità del tuo destino?”.