“Alatri Racconta” l’appuntamento con il 13 dicembre: una festa antica dall’atmosfera magica.
Nel giorno di Santa Lucia i vicoli del paese si popolano di infanzia, ricordi e profumi natalizi.
E il 13 dicembre ritornava, impiegava tanto il lunario per ripresentare quel giorno, un tempo.
E Santa Lucia significava molto: annunciava il Natale, la festa più attesa dell’anno.
Le bancarelle di fichi zuccherini, canditi colorati e frutta secca animavano il centro e preludevano ai dolci delle serate di festa, quando la Tombola stazionava per giorni sul buffet della camera da pranzo, insieme alla ciotola dei fagioli con cui segnare le caselle dei numeri tirati, senza mai vincere.
Santa Lucia era anche la chiesetta nella parte più vecchia del borgo antico, la bella statua con lo sguardo al cielo e il piattino in mano, con su gli occhi cavati per infinita crudeltà e che ti facevano tanta impressione.
Si intonava già “Tu scendi dalla stelle” alla fine della Messa, orchestrato dalla voce querula di Don Sisto, il vecchio parroco che poi vecchio non era. Talvolta nevicava anche, oppure era il vento Aquilone che trasportava i fiocchi impazziti dalla vicina montagna, strinandoti il viso e le labbra con gelida prepotenza. Era un giorno magico, Santa Lucia…
Ma l’attesa più bella, quella che faceva sopportare il freddo, la Messa, il mercato, la catechista devota che leggeva il florilegio della martire, erano …le vetrine di Sabellico!
Sì, il sali e tabacchi del Trivio, proprio quello dove si era soliti comprare sigarette e zolfanelli, cartoline e francobolli e, prima dell’avvento della confezione in pacchi su scala industriale, anche il sale.
Carlo, oppure il padre ‘Zosca e la madre Emma, lo prelevavano con un guscio di tartaruga e lo pesavano attenti sulla statera trasparente. Un rito a cui non volevi mancare quando nonna si accorgeva che non c’era più sale e ti veniva incontro all’angolo della fontanella di corso Cavour per entrare con lei dal tabaccaio.
Sabellico sapeva aspettare paziente il mattino di Santa Lucia per cambiare completamente genere di mercanzia.
Non più quaderni, detersivi e bijoux – diremmo oggi assai kitsch- sui ripiani gemelli degli espositori bombati ai lati dell’ingresso.
Al posto di questi, una folla brulicante di pupazzetti da presepio prendeva come d’incanto a far bella mostra di sé per la gioia dei nostri occhi bambini, e non solo.
“Anche Santa Lucia” mi veniva di pensare in maniera istintiva, posando timidamente le mani sul vetro gelato che si appannava coll’affannoso respiro della corsa , “avrebbe goduto di così bella vista!”.
Era tappa fissa la sosta da Sabellico, per ammirare pastori e contadine, cuoche e vinaioli, carrettieri e zampognari, procedere non verso le poche capannine di legno e corteccia d’albero disposte sul fondo e di lato, ma roteare su stessi e intorno ai loro simili in un vortice di vita umile e antica.
E ti piaceva dunque non solo guardarli, ma pian piano scoprirli e desiderarli per il tuo presepe che, ahimé, non era mai grande abbastanza per accoglierne così tanti.
Belli, belli da togliere il fiato e catturare i tuoi occhi sgranati, perché nessuno era uguale al suo simile, non fosse altro che per quella pennellatina che rendeva una chioma, un fazzoletto o un cappello unici e irripetibili. Perfino le pecore, le galline e le oche popolavano quell’universo nella difformità della loro specie e della loro posizione e, ti sembrava, nel baccano delle loro onomatopee.
Nessun senso di colpa se Giuseppe, Maria e il Bambinello, ti catturavano meno gli occhi incantati. Chiusi nell’eterno mistero, la loro posizione staticamente ieratica ti interessava assai poco. Il tuo sguardo avido vi si posava solo per un istante, stornato da quella turba colta nell’attimo della sua esistenza e, sembrava, sorpresa non più di tanto dal cristiano prodigio.
Che burattinaio, quel tabaccaio sapiente!
Chissà se ha mai avuto consapevolezza del fascino sprigionato, il giorno di Santa Lucia, dagli angusti semicerchi del suo pianeta di vetro. Oggi nulla mi resta di quelle genti in movimento.
Solo una pastorella che ancora nutre la sua oca, più volte rincollata e assai sbiadita, comprata un lontano 13 dicembre da Sabellico al Trivio.
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