Gli usi patrii sono la più santa cosa umana che sia in qualsiasi nazione, per cui questa si distingue, fa corpo ed anzi ha anima è quasi persona a se: utile il serbarli, felice l’amarli, onorando il difenderli, sventura, danno e vergogna il perderli
Dopo aver citato sempre sul nostro blog il testo Alatri ed il suo vernacolo di Padre Igino da Alatri, era impensabile non parlare del libro sul nostro dialetto, Accusi parlam nua di Flavio Fiorletta.
E lo facciamo proprio con la sua introduzione, con la quale Sor Flavio ci spiega la curiosa genesi dello stesso:
“Questo non è un dizionario etimologico; unico scopo di questa raccolta di vocaboli dialettali e la volontà di fermare nel tempo qualche cosa che, da anni, ci appartiene e che ora sta per scomparire dalla nostra vita giornaliera: il dialetto sempre esistito, centinaia di anni fa, anche derivato dalla lingua latina.
L’iniziativa mi è stata suggerita curiosamente: una mostra del “manifesto turistico internazionale” da me allestita presso i locali comunali ove di solito si facevano le mostre di pittura.
I manifesti, pervenuti da tutta Europa, erano bellissimi ed illustravano, in maniera abbastanza suadente, le splendide città di tutto il mondo: erano delle opere d’arte!
Ma la mostra finì dopo quindici giorni: “cosa farne di quei manifesti? Buttarli? Bruciarli? ” “No, era cosa insana!”
Ed ecco l’idea che mi venne: fare una manifestazione culturale di interesse etnografico con la seguente impostazione “Un manifesto per ogni trenta vocaboli in dialetto”. Bene!
Vennero stampati migliaia di fogli, con una foto antica sul davanti e trenta righi all’intero ove poter scrivere le parole dialettali con la spiegazione in italiano. Dai fogli inviati dai ragazzi pervennero ben 32.000 vocaboli, ridotti poi dai primi computers a 6962, cioè quelli che risultano in questo libro.
Motivo del divario? avveniva che ogni ragazzo copiava i vocaboli dai compagni e forse domandavano alle stesse persone, domandavano ai genitori che già si erano inciviliti e ignoravano il dialetto: domandavano ai nonni, alle persone anziane, insomma a tutti pur di poter racimolare trenta “parole antiche” per vincere il manifesto.
Il dialetto c’era in giro, ma non era fermato su pagine per poterlo leggere, ricordare, riparlare come una volta, anche se sentire parlare un ragazzo di oggi in dialetto antico, fa un poco ridere, come se fosse cosa fuori posto. Però ora il dialetto c’è e questo è cosa importante: il dialetto è intrappolato con i vocaboli scritti “dai ragazzi”.
Il libro non ha presunzioni di sorta:
ma tutto esatto? No, ma c`è qualcosa che incuriosisce;
è sbagliato qualcosa? si corregge, si aggiorna, si confronta: ma la base c’è.
E’ da pensare che sono i ragazzi che hanno scritto queste cose e allora “che ce vulete, ne bove?”
Quando leggerete questo libro, voi che siete grandi, ricorderete tanti fatti accaduti, rivivrete tante storie di tante generazioni più composte, più serie, più lavoratrici, più umane, più rispettose, più ideali.
Leggere questi vocaboli è collaborazione, partecipazione di cui certamente bisogna essere grati e specie a chi, come ha fatto il mecenate Italo Cianfrocca, ha incoraggiato validamente l’iniziativa di ridare al popolo la possibilità di rileggersi con l’aiuto dei “ragazzi scrittori”, nonostante “altri” abbiano rifiutato la collaborazione”
Flavio Fiorletta